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Mi sono giocato la vita al poker on-line. Vi racconto come mi sono salvato e come aiuto oggi i ragazzi

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Michele Albini segnala i ragazzi a San Patrignano dove lui stesso è stato ospite dopo aver sperperato centinaia di migliaia di euro in modo compulsivo. «Aiuto i giovani a non cadere nella ludopatia»

Per quasi quindici anni è stato un giocatore compulsivo. Ha dilapidato un patrimonio di diverse centinaia di migliaia di euro nel poker on line. «Giocavo la sera, vincevo 40-50 mila euro, spegnevo il pc, andavo a fare una doccia, poi riaccendevo il pc, tornavo a giocare e perdevo tutto. Ma mi sentivo soddisfatto, realizzato». Michele Albini, 40 anni a luglio, lucano della Val d’Agri, responsabile del settore commercio on line dell’azienda di famiglia Albagarden – prodotti per il giardinaggio, parla del suo passato di ludopatico come se si trattasse di un’altra persona. Con un distacco quasi innaturale. Se è riuscito ad averla vinta sulla sua dipendenza deve tutto alla comunità di San Patrignano dove ha vissuto per circa due anni. Oggi, insieme a Vito Pacelli, editore uscito indenne dai trascorsi da tossicodipendente, è referente per Campania, Calabria e Basilicata dell’associazione Amici di San Patrignano. Che segnala alla comunità fondata da Muccioli i ragazzi bisognosi d’aiuto. Michele ha accettato di raccontare la sua esperienza per mettere in guardia quanti come lui finiscono vittime del gioco. «Parlare della mia storia – dice – mi ricorda sempre tutto il dolore passato e quanta sofferenza ho dovuto affrontare per arrivare dove sono oggi».«Avrò avuto 15-16 anni quando ho scoperto il Totocalcio, il Totogol e il lotto. Mi giocavo la paghetta che mi davano i miei genitori. Poi sono venute le scommesse elettroniche, durante l’università, e, dopo la laurea in Scienze agrarie, il poker on line».

Iniziò per spirito di emulazione seguendo qualche amico più grande?

«No, assolutamente. Iniziai da solo, per mia curiosità. Mi giustificavo con me stesso dicendo che giocavo per la smania di avere soldi e invece il poker era un mezzo per esprimere la compulsività e per non affrontare i problemi quotidiani. Era il mio posto di mondo in cui mi rifugiavo e potevo fare quello che volevo. Mi sentivo soddisfatto, mi sentivo invincibile. Pensi che ero entrato in una classifica dei giocatori più bravi d’Italia e mi invitavano anche ai tornei all’estero».

E lei ci andava?

«A qualcuno sì, ho partecipato, mi pagavano tutte le spese… sono stato a Praga, ad esempio, lì mi sono sentito davvero il migliore».

On line quando giocava?

«Di notte o durante la giornata, ma di nascosto. Io all’esterno conducevo una vita normale: per tutti ero il bravo ragazzo che aveva studiato, si era sposato e che lavorava nell’azienda di famiglia. Quando è uscita fuori la verità sono rimasti tutti spiazzati».

E quanto giocava?

«Tutto quello che guadagnavo. E quando non avevo più soldi a disposizione non mi perdevo d’animo e cominciavo a prenderli a chiunque… li rubavo in famiglia, in azienda oppure li chiedevo in prestito agli amici».

E nessuno si accorgeva di niente?

Assolutamente. Il gioco non è come la droga o l’alcol, è molto più subdolo perché se hai un figlio ludopatico tu non te ne accorgi, non hai alcun elemento che te lo faccia scoprire. E poi il gioco è accettato dalla comunità e dagli stessi giocatori che non si rendono conto di fare qualcosa di sbagliato. A San Patrignano il mio psicologo diceva: «Chi non gioca ha un problema». La situazione cambia quando il gioco diventa una patologia che ti porta ad isolarti dal mondo e a distruggere tutte le relazioni».

Ma in famiglia o in azienda come facevano a non accorgersene se mancavano i soldi?

«Facevano finta di non vedere per non affrontare il problema».

Poi cosa è successo?

«Un giorno sono stato chiamato da mio fratello, ha detto che voleva parlarmi e mi ha dato un appuntamento in azienda. Mi sono ritrovato lui, gli altri fratelli, i miei suoceri, mia moglie e i miei genitori con una faccia che non prometteva niente di buono. Gli ammanchi erano diventati troppo alti, volevano sapere che fine avevano fatto tutti quei soldi. Un vero e proprio interrogatorio».

E lei?

«Istintivamente ho cercato di scappare ma mio fratello mi ha preso… allora mi sono inventato lì per lì che avevo problemi con le banche ma … niente, non mi hanno creduto e allora sono stato costretto pian piano a fare le prime ammissioni seppure parziali…»

Conseguenze?

«Mia moglie non se l’è sentita più di starmi accanto e mi ha lasciato…. quando ho visto che non avevo più l’appoggio di nessuno, mi avevano messo con le spalle al muro e chiusi tutti i rubinetti, ho contattato Vito Pacelli per provare ad entrare a San Patrignano».

Cosa ricorda di quei due anni in comunità?

«Il totale isolamento. Potevo comunicare con il mondo esterno solo attraverso le lettere. Ma è stato un percorso importante su me stesso. Sono uscito il 7 dicembre 2019 giusto in tempo per precipitare nel lockdown».

Altro isolamento, quindi?

«Una grandissima prova, mi sono dedicato alla costruzione del sito commerciale dell’azienda e oggi sono orgoglioso che siamo stati premiati come migliori venditori di Amazon in Italia».

Cosa le mancava a San Patrignano?

«Prendere un caffé a Salerno di fronte al mare. La spensieratezza di un momento di libertà che quando ce l’abbiamo non sappiamo valorizzarlo».

Non le è mai più venuta voglia di farsi un pokerino?

«Il gioco oggi mi fa schifo per tutto quello che mi ha procurato, non ne sento proprio il bisogno. È come il fumo, io non ho mai fumato, non mi interessa per niente».

Lei ogni sabato incontra con Pacelli i ragazzi che chiedono aiuto per andare a San Patrignano. C’è molta ludopatia tra i giovani d’oggi?

«La tossicodipendenza resta il problema più grave e frequente, ma è molto più presente di prima la ludopatia. Sono le donne oggi le più vulnerabili e anche se la percentuale in comunità per il gioco è bassissima ne vedo tante dal tabaccaio alle prese con le lotterie istantanee e in loro rivedo i miei momenti di disperazione».

Che cosa si sentirebbe di dire a un ragazzo che si avvicina oggi al poker on line?

«Che è meglio che non si avvicini proprio perché può diventare un modo per sfogare tutte le proprie frustrazioni e trasformarsi in una terribile dipendenza che divora la vita».

Fonte: Corriere del Mezzogiorno