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«Vado nelle periferie tra cocaina e crack per pregare e parlare». Lunedì sera Don Antonio Coluccia, accompagnato dalla sua scorta, è stato colpito da una sassaiola organizzata per allontanarlo da via Ostuni, dove la notte si spaccia. 

«Vado nelle periferie tra cocaina e crack per pregare e parlare». Gira con un pallone da calcio e un megafono per le preghiere e le canzoni di Fabrizio Moro

Il Quarticciolo è una delle 12 borgate storiche, tra la Casilina e la Palmiro Togliatti. Era il quartiere del Gobbo, partigiano che scrisse una pagina epica della Resistenza romana, diventato anche un film di Lizzani, interpretato da Pasolini. Lì lunedì sera il prete antidroga Antonio Coluccia, accompagnato dalla sua scorta, è stato colpito da una sassaiola organizzata per allontanarlo da via Ostuni, dove la notte si spaccia. 


Hanno cercato di fermarla ancora l’altra notte?
 
«Sì, con una pioggia di sassi, belli grossi, che se ci colpivano avrebbero fatto male. Ma il Signore è con noi e un albero ci ha protetto dalla sassaiola». Parla romano-salentino don Antonio Coluccia, 47 anni da Specchia (Lecce), «a dire il vero quasi 48». Prete antidroga da 25 anni combatte gli stupefacenti e la criminalità organizzata. Lunedì sera era a via Ostuni al Quarticciolo, con il megafono ha iniziato la sua pastorale azione di disturbo agli spacciatori. 

Ma cosa fa quando raggiunge questi posti?
 «Intanto non sono solo, ho miei angeli custodi, del reparto scorte della Questura di Roma, che mi proteggono nella mia pastorale notturna, senza di loro non potrei continuare o non sarei più qui a parlare…».

 Sì, ma cosa fa?
 «Io arrivo nella piazza scelta per la sera o la notte, armato di un pallone per attirare i piccoli e farli giocare, mentre io parlo con i genitori. Poi ho un megafono per pregare, collegato ad un mp3, intercalo le preghiere, il Vangelo, con i “Cento Passi” dei Modena City Ramblersi o “Pensa” di Fabrizio Moro. La mia è una pastorale di strada, se anche uno solo mi ascolta, si ferma con me, ho già vinto». 

Ma riesce a farsi ascoltare?
 «Sono impegnativo, non mollo. Non bisogna abbandonare le piazze alla malavita. Noi e le istituzioni dobbiamo esserci. Il welfare della droga non deve sostituire lo Stato». 

Vede cose che noi da questa parte di Roma non vediamo?
 «L’altra sera al Quarticciolo un’anziana signora mi ha detto che non riusciva più a dormire, perché l’attività di spaccio a via Ostuni è così rumorosa che impedisce alle persone perbene di riposare. Questo non deve accadere». 

Che cosa si spaccia? 
«Tutto: c’è tantissimo crack, per esempio. Quando noi arriviamo sparano i fuochi di artificio per avvertirsi tra di loro. Noi li disturbiamo, interrompiamo il business». 

Ma lei parla con gli spacciatori?
 «Certo: uno mi ha detto che doveva farlo per comprarsi la macchina, molti perché non sanno fare altro».

 Come sceglie i posti?
 «Esperienza decennale, le chiamo “strade blu”, dal colore della plastica usata per incartare cocaina e crack. Ogni piazza è in mano a bande criminali diverse: la ‘ndragheta a San Basilio, camorra al Quarticciolo, romani e albanesi al Laurentino 38 e Tor Bella Monaca. Ma c’è tanta gente perbene: bisogna lottare anche per loro».

 Ma qualcuno prega?
«Qualcuno, ma più che altro parlano, ne hanno bisogno. Una volta un capo piazza ha detto agli spacciatori di lasciarmi passare, mi sono seccato e ho replicato: “Siamo in un paese libero non ho bisogno dell’autorizzazione”». 

Che cosa le fa più male? 
«Vedere un ragazzino di 20 anni in Ferrari e sapere che è stata comprata con la vita di tanti».  

Una volta hanno anche sparato alla sua auto. Quante volte è stato minacciato? 
«Molte volte, per questo ho la scorta di 2° grado, devo tutto ai miei angeli custodi. Mi hanno nominato poliziotto ad honorem».

 Contento? 
«Sì, ma di più lo sarà zio Vito, assistente capo di polizia, morto mentre inseguiva un esponente della Sacra Corona Unita». 

Non ha mai paura? 
«Qualche volta, se poi penso quello che è stato fatto a Gesù mi passa».

Fonte: roma.corriere.it

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